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lunedì 4 maggio 2009

Trentaquattresima: L'occhio lungo di Moratti

Si sa, la primavera segna l'ultima sponda del lungo inverno calcistico, ed e' tempo di bilanci, sia pur con il non trascurabile rischio di prendere qualche sonora cantonata, dato che i giochi non si sono ancora conclusi.

Il luculliano pasto del campionato di calcio, servito per un lungo anno a beneficio degli appetiti di tifosi, giornalisti ed addetti ai lavori, volge ormai al termine. La vittoria dell'Inter contro la Lazio ne chiede il conto, e vi include il caffe' offerto dalle Officine Moratti per dar la sveglia a taluni, mentre un digestivo sara' servito a talaltri, per stemperare l'acidita' degli ultimi bocconi.

Se Ibra cuce il quarto scudetto sulle maglie dell'Inter, oltre che le generose bocche di patetici supporter interisti, l'agonia della Juventus 2008-2009 chiude la bolla del controllo autarchico che per molti anni ha governato la serie A, condannandola ad una infima retrocessione nei confronti delle divisioni estere.

Se per caso qualcuno non se ne fosse reso conto, la serie A e' uscita anche quest'anno con le ossa rotte dalle Idi di marzo, con un calcio sempre piu' scadente nei confronti di Bundesliga, Premiere League e Liga.

Vedere Rooney e Ronaldo, Adebayor e Messi, Henry e Ribery vomitare energia cinetica da tutti i pori, madidi di sudore come operai di cantiere, senza mai lamentare la fatica immane di novanta minuti, per infinite volte all'anno, sempre e ovunque, e' qualcosa che fa riflettere.

Sara' che in Italia l'eta' media avanza ed il PIL non cresce, ma ho l'impressione a volte di vedere intorno a me una generazione di giovani che non amano confrontarsi con l'arte del sacrificio e con il senso della disciplina; giovani che non amano diventare adulti; giovani che rifuggono le responsabilita' come dietro ordine del medico; giovani che non sono capaci di rivoltare la loro situazione personale, figuriamoci se son capaci di rivoluzionare una societa' che pure va scossa.

E gli eterni studenti diventano professionisti senza speranza, arbitri di calcio senza palle, giocatori senza coraggio e senza disciplina, attratti e manipolati come sono dai falsi miti della gioventu', anche in eta' adulta.

E per restare nel mondo del calcio, non e' un caso che gli Agnolin e i Lo Bello siano uno sbiadito ricordo, cosi' come i Rocco e i Bearzot, i Bortoluzzi, gli Ameri e i Ciotti, i Guarneri, i Buffon, i Mazzola, i Rivera, i Picchi, i Burgnich e via cantando.

E non e' un caso che il declino lento ma inesorabile del carattere italiano sia visibile da un'altra prospettiva: a vincere lo scudetto, in un campionato di calcio corretto e depurato dalle forze magnetiche del moggismo, e' una squadra senza italiani. Moratti, anni fa, doveva averci visto lungo.


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