Nella trentasettesima di campionato, a giochi compiuti per la corsa scudetto, non difettano le grandi emozioni, pubblicamente e gratuitamente elargite a destra e a manca, da parte di pseudo-attori del mondo del calcio, gia' di suo ricco di inutili colpi di teatro.
A novanta minuti dal termine del campionato 2008-2009, passano in secondo piano il riscatto limpido e chiaro della Juventus di Ciro Ferrara - che riagguanta il secondo posto, dando ragione agli antiranieristi, la quasi retrocessione di Torino o Bologna, quella matematica del Lecce, il posizionamento europeo della Roma e la sconfitta delle riserve dell'Inter a Cagliari.
Nel giorno dell'addio di uno dei piu' decisivi ed influenti calciatori che il suolo patrio abbia mai allattato, allevato, cresciuto e spronato, tale Paolo Maldini, il Milan brucia il secondo posto con una prestazione scadente ed oltraggiosa. La notiziona e' che, mentre Totti fa bottino pieno a San Siro, qualche migliaio di tifosi rossoneri inscena una delle proteste piu' clamorose e insensate da quando hanno inventato la lampadina al tungsteno.
Finisce cosi' che la curva Sud milanista si commiata dalla propria squadra (per alcuni mesi) e dal grande capitano (per sempre), offrendo - con gaudio inconsapevolmente idiota - alcuni striscioni di imbarazzante stupidita' sportiva ed umana.
Che le lavande cerebrali operate nella Repubblica orwelliana fondata sulle televisioni creino oramai individui dall'acume sbiancato e' cosa consolidata. Basta guardare in che percentuale gli italiani solgono dividersi, quando in TV c'e' un concerto di musica classica dalle Terme di Caracalla da un lato, e la Fattoria o il Gieffe o l'Isola dall'altro.
Ma che tali "prodotti" umani esibiscano perdita non solo del comune senso della ragione, ma anche della memoria sportiva, e' davvero preoccupante. Il precedente della curva interista che ebbe a scagliarsi contro nientepocodimeno che Ibrahimovic, autore della meta' dei gol dell'Inter, era evidentemente solo un'altra manifestazione cutanea di un male piu' profondo che emerge senza preamboli e senza freni, ne' inibitori propri dell'individuo, ne' sociali, ne' culturali propri della collettivita'. E cosi' vent'anni di gloriosa carriera del Maldinho vanno a farsi friggere nel giro di alcuni minuti. E naturalmente iniziano a preoccuparsene anche Del Piero e Javier Zanetti. Grazie amici!
Vedo aprirsi la porta del freezer sugli umori del mondo del calcio, come se gli anni passati ci fossimo tutti dilettati a parlare di sport puro e semplice, e ce ne fossimo annoiati. C'e' un senso di gelo in tutto questo. Ma il vero problema e' che, come nella gestione politica del Paese, ci si abitua rapidamente a tutto, il che e' umanamente deleterio oltreche pericoloso.
Viva dunque Paolo Maldini, capitano combattente e coraggioso di mille e piu' battaglie. A lui il caro commiato di chi lo ha seguito sempre, e che sempre ne ha constatato il valore e la fede nei colori della maglia.
lunedì 25 maggio 2009
lunedì 18 maggio 2009
Trentaseiesima: L'Inter, Mourinho, Moratti
Spirito uno e trino, all'Inter riesce il quarto colpo gobbo al campionato italiano. Quattro titoli, pardon, tituli, che gettano luce consecutiva e continuata su una squadra che finalmente ha abbandonato lo spendi-e-spandi di un decennio fa, convertendosi ad una ferrea disciplina di mercato.
Sin dai primi anni duemila, Moratti occhiolungo aveva messo su una squadra di uomini tosti e caparbi (per questo pescati fuori dai confini italiani), quelli stessi che ad ogni maggio sono celebrati in Piazza Duomo fino a notte fonda. Julio Cesar, Cordoba, Samuel, Burdisso, Cambiasso, Zanetti, Stankovic, Figo, Adriano, Cruz e Crespo c'erano prima di calciopoli. Cosi' come un certo Roberto Mancini, giovane tessitore di bel gioco.
Ibra e' arrivato dopo, quando il gruppo era formato, la difesa cominciava a edificare il muro, il centrocampo a masticare calcio e l'attacco a far gol con una regolarita' maniacale. L'arrivo del fuoriclasse svedese ha permesso al reparto offensivo di dare del tu alla palla, ma non puo' giustificare quattro scudetti dopo un digiuno durato diciassette anni. Non riuscirei mai a spiegarlo ad un bambino, dunque non puo' essere.
Il fulcro vincente di questa Inter e' proprio il suo presidente. Nella domenica in cui mezzo mondo gli si prostra ai mocassini, lui gongola felice perche' sa di aver fatto bene. Sa di aver imparato a spendere e ad acquistare con senso della misura e con grande lungimiranza.
Ma gli onori della cronaca per lo scudetto numero diciassette vanno a dividersi con Jose Mourinho, l'uomo forte di Piazza Durini. Dotato di lingua biforcuta che ricorda - con ammaliante accento lisbonese - le freddure dell'avvocato Prisco, lo Special One si e' mostrato capace, anzi capacissimo, di prendere uno spogliatoio a pezzi e mettervi ordine.
Nei piani di Massimo Moratti, ritengo questo fosse il motivo principale ad averlo indotto a sborsare decine di milioni per assicurarsi il nuovo, pur mantenendo a libro paga il vecchio.
E cosi' la potenza una e trina della squadra, del presidente e del mister chiude la pratica scudetto con due giornate d'anticipo, lanciandosi un minuto dopo nel vivo del mercato. Ci sono vecchi titoli da difendere e nuovi da conquistare, di la' delle Alpi. Vedremo se oltre ai miracoli nella terra dei santi, la trinita' riuscira' nella crociata europea. L'impressione e' che si tratti davvero di un'impresa divina.
Sin dai primi anni duemila, Moratti occhiolungo aveva messo su una squadra di uomini tosti e caparbi (per questo pescati fuori dai confini italiani), quelli stessi che ad ogni maggio sono celebrati in Piazza Duomo fino a notte fonda. Julio Cesar, Cordoba, Samuel, Burdisso, Cambiasso, Zanetti, Stankovic, Figo, Adriano, Cruz e Crespo c'erano prima di calciopoli. Cosi' come un certo Roberto Mancini, giovane tessitore di bel gioco.
Ibra e' arrivato dopo, quando il gruppo era formato, la difesa cominciava a edificare il muro, il centrocampo a masticare calcio e l'attacco a far gol con una regolarita' maniacale. L'arrivo del fuoriclasse svedese ha permesso al reparto offensivo di dare del tu alla palla, ma non puo' giustificare quattro scudetti dopo un digiuno durato diciassette anni. Non riuscirei mai a spiegarlo ad un bambino, dunque non puo' essere.
Il fulcro vincente di questa Inter e' proprio il suo presidente. Nella domenica in cui mezzo mondo gli si prostra ai mocassini, lui gongola felice perche' sa di aver fatto bene. Sa di aver imparato a spendere e ad acquistare con senso della misura e con grande lungimiranza.
Ma gli onori della cronaca per lo scudetto numero diciassette vanno a dividersi con Jose Mourinho, l'uomo forte di Piazza Durini. Dotato di lingua biforcuta che ricorda - con ammaliante accento lisbonese - le freddure dell'avvocato Prisco, lo Special One si e' mostrato capace, anzi capacissimo, di prendere uno spogliatoio a pezzi e mettervi ordine.
Nei piani di Massimo Moratti, ritengo questo fosse il motivo principale ad averlo indotto a sborsare decine di milioni per assicurarsi il nuovo, pur mantenendo a libro paga il vecchio.
E cosi' la potenza una e trina della squadra, del presidente e del mister chiude la pratica scudetto con due giornate d'anticipo, lanciandosi un minuto dopo nel vivo del mercato. Ci sono vecchi titoli da difendere e nuovi da conquistare, di la' delle Alpi. Vedremo se oltre ai miracoli nella terra dei santi, la trinita' riuscira' nella crociata europea. L'impressione e' che si tratti davvero di un'impresa divina.
martedì 12 maggio 2009
Trentacinquesima: Il miracolo di San Nicola
Mentre si infrange la rincorsa del Milan contro i nervi tosti di una Juventus formato diga frisone, che riscatta l'ultima, opaca primavera, lo scudetto 2008-2009 prende definitivamente la via di Palazzo Durini.
Il popolo nerazzurro si prepara, cosi', al quarto tricolore consecutivo, con buona pace di tutti i Paperin de Paperetti, penne mediocri del panorama giornalistico nazionale, gufi di professione e aizzatori di poveri di spirito.
Di vero c'e' che l'Inter di Mourinho e' stanca come un bradipo al risveglio dopo il sacrosanto sonno, e lo si vede. L'uscita anticipata dalla Champions sembra aver prodotto un calo di endorfine in linea con l'astinenza vista lo scorso anno. Allora Mancini pago' per una cosa e per l'altra, costringendo il patron Moratti a spese folli per assicurarsi un buon sostituto.
Il tema ricorrente della crisi degli allenatori investe oggi altre panche: Ranieri e Ancelotti non possono certo dire di dormire sonni tranquilli, dopo aver lasciato tra loro e Mourinho una media di sette punti a testa per tutto il campionato. I rispettivi patron sanno che il prossimo anno Moratti avra' a disposizione un petrol-budget da urlo, tra cessioni, recessioni e concessioni, e dovranno prepararsi a contrastare la fame di scudetti di una squadra che, dopo un digiuno durato decenni, non pare ancora sazia.
Doveroso, per ragioni di cuore, spendere una nota sul Bari. La citta' festeggia coralmente un'impresa a dir poco storica, grazie - oltre al Santo Patrono - al suo allenatore, ai suoi giocatori e ai 60mila che ogni domenica hanno sostenuto il (o "la") Bari. Sia San Nicola che i 60mila ci sono sempre, gli altri non si sa. Certo e' che con questo pubblico le ambizioni hanno tutto il diritto di moltiplicarsi.
Sanda Nicoul, aiutaci tu.
Il popolo nerazzurro si prepara, cosi', al quarto tricolore consecutivo, con buona pace di tutti i Paperin de Paperetti, penne mediocri del panorama giornalistico nazionale, gufi di professione e aizzatori di poveri di spirito.
Di vero c'e' che l'Inter di Mourinho e' stanca come un bradipo al risveglio dopo il sacrosanto sonno, e lo si vede. L'uscita anticipata dalla Champions sembra aver prodotto un calo di endorfine in linea con l'astinenza vista lo scorso anno. Allora Mancini pago' per una cosa e per l'altra, costringendo il patron Moratti a spese folli per assicurarsi un buon sostituto.
Il tema ricorrente della crisi degli allenatori investe oggi altre panche: Ranieri e Ancelotti non possono certo dire di dormire sonni tranquilli, dopo aver lasciato tra loro e Mourinho una media di sette punti a testa per tutto il campionato. I rispettivi patron sanno che il prossimo anno Moratti avra' a disposizione un petrol-budget da urlo, tra cessioni, recessioni e concessioni, e dovranno prepararsi a contrastare la fame di scudetti di una squadra che, dopo un digiuno durato decenni, non pare ancora sazia.
Doveroso, per ragioni di cuore, spendere una nota sul Bari. La citta' festeggia coralmente un'impresa a dir poco storica, grazie - oltre al Santo Patrono - al suo allenatore, ai suoi giocatori e ai 60mila che ogni domenica hanno sostenuto il (o "la") Bari. Sia San Nicola che i 60mila ci sono sempre, gli altri non si sa. Certo e' che con questo pubblico le ambizioni hanno tutto il diritto di moltiplicarsi.
Sanda Nicoul, aiutaci tu.
lunedì 4 maggio 2009
Trentaquattresima: L'occhio lungo di Moratti
Si sa, la primavera segna l'ultima sponda del lungo inverno calcistico, ed e' tempo di bilanci, sia pur con il non trascurabile rischio di prendere qualche sonora cantonata, dato che i giochi non si sono ancora conclusi.
Il luculliano pasto del campionato di calcio, servito per un lungo anno a beneficio degli appetiti di tifosi, giornalisti ed addetti ai lavori, volge ormai al termine. La vittoria dell'Inter contro la Lazio ne chiede il conto, e vi include il caffe' offerto dalle Officine Moratti per dar la sveglia a taluni, mentre un digestivo sara' servito a talaltri, per stemperare l'acidita' degli ultimi bocconi.
Se Ibra cuce il quarto scudetto sulle maglie dell'Inter, oltre che le generose bocche di patetici supporter interisti, l'agonia della Juventus 2008-2009 chiude la bolla del controllo autarchico che per molti anni ha governato la serie A, condannandola ad una infima retrocessione nei confronti delle divisioni estere.
Se per caso qualcuno non se ne fosse reso conto, la serie A e' uscita anche quest'anno con le ossa rotte dalle Idi di marzo, con un calcio sempre piu' scadente nei confronti di Bundesliga, Premiere League e Liga.
Vedere Rooney e Ronaldo, Adebayor e Messi, Henry e Ribery vomitare energia cinetica da tutti i pori, madidi di sudore come operai di cantiere, senza mai lamentare la fatica immane di novanta minuti, per infinite volte all'anno, sempre e ovunque, e' qualcosa che fa riflettere.
Sara' che in Italia l'eta' media avanza ed il PIL non cresce, ma ho l'impressione a volte di vedere intorno a me una generazione di giovani che non amano confrontarsi con l'arte del sacrificio e con il senso della disciplina; giovani che non amano diventare adulti; giovani che rifuggono le responsabilita' come dietro ordine del medico; giovani che non sono capaci di rivoltare la loro situazione personale, figuriamoci se son capaci di rivoluzionare una societa' che pure va scossa.
E gli eterni studenti diventano professionisti senza speranza, arbitri di calcio senza palle, giocatori senza coraggio e senza disciplina, attratti e manipolati come sono dai falsi miti della gioventu', anche in eta' adulta.
E per restare nel mondo del calcio, non e' un caso che gli Agnolin e i Lo Bello siano uno sbiadito ricordo, cosi' come i Rocco e i Bearzot, i Bortoluzzi, gli Ameri e i Ciotti, i Guarneri, i Buffon, i Mazzola, i Rivera, i Picchi, i Burgnich e via cantando.
E non e' un caso che il declino lento ma inesorabile del carattere italiano sia visibile da un'altra prospettiva: a vincere lo scudetto, in un campionato di calcio corretto e depurato dalle forze magnetiche del moggismo, e' una squadra senza italiani. Moratti, anni fa, doveva averci visto lungo.
Il luculliano pasto del campionato di calcio, servito per un lungo anno a beneficio degli appetiti di tifosi, giornalisti ed addetti ai lavori, volge ormai al termine. La vittoria dell'Inter contro la Lazio ne chiede il conto, e vi include il caffe' offerto dalle Officine Moratti per dar la sveglia a taluni, mentre un digestivo sara' servito a talaltri, per stemperare l'acidita' degli ultimi bocconi.
Se Ibra cuce il quarto scudetto sulle maglie dell'Inter, oltre che le generose bocche di patetici supporter interisti, l'agonia della Juventus 2008-2009 chiude la bolla del controllo autarchico che per molti anni ha governato la serie A, condannandola ad una infima retrocessione nei confronti delle divisioni estere.
Se per caso qualcuno non se ne fosse reso conto, la serie A e' uscita anche quest'anno con le ossa rotte dalle Idi di marzo, con un calcio sempre piu' scadente nei confronti di Bundesliga, Premiere League e Liga.
Vedere Rooney e Ronaldo, Adebayor e Messi, Henry e Ribery vomitare energia cinetica da tutti i pori, madidi di sudore come operai di cantiere, senza mai lamentare la fatica immane di novanta minuti, per infinite volte all'anno, sempre e ovunque, e' qualcosa che fa riflettere.
Sara' che in Italia l'eta' media avanza ed il PIL non cresce, ma ho l'impressione a volte di vedere intorno a me una generazione di giovani che non amano confrontarsi con l'arte del sacrificio e con il senso della disciplina; giovani che non amano diventare adulti; giovani che rifuggono le responsabilita' come dietro ordine del medico; giovani che non sono capaci di rivoltare la loro situazione personale, figuriamoci se son capaci di rivoluzionare una societa' che pure va scossa.
E gli eterni studenti diventano professionisti senza speranza, arbitri di calcio senza palle, giocatori senza coraggio e senza disciplina, attratti e manipolati come sono dai falsi miti della gioventu', anche in eta' adulta.
E per restare nel mondo del calcio, non e' un caso che gli Agnolin e i Lo Bello siano uno sbiadito ricordo, cosi' come i Rocco e i Bearzot, i Bortoluzzi, gli Ameri e i Ciotti, i Guarneri, i Buffon, i Mazzola, i Rivera, i Picchi, i Burgnich e via cantando.
E non e' un caso che il declino lento ma inesorabile del carattere italiano sia visibile da un'altra prospettiva: a vincere lo scudetto, in un campionato di calcio corretto e depurato dalle forze magnetiche del moggismo, e' una squadra senza italiani. Moratti, anni fa, doveva averci visto lungo.
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