È vero, non si chiama più Coppa Italia. Ma definirla con il nome di un comune gestore commerciale di schede Sim (guarda che coincidenza) non lo ritengo una cosa intelligente. Come chiamare mia mamma con il nome del suo datore di lavoro, ad esempio Upim o Rinascente (e quest'ultimo avrebbe anche senso).
L'Inter conquista la finale di Coppa Italia piegando la stessa Fiorentina che tre giorni prima le aveva fatto vedere un paro de sorci verdi, come dicono in Alto Adige. La partita ha mostrato la stessa differenza di classe che si era vista nella partita precedente, se è vero che per ampiezza di rosa, organico e condizione atletica strutturale non vi è paragone alcuno tra le due formazioni.
Voi direte che quella era terminata in parità. Certo, ma con qualche papera e qualche palo in meno forse sarebbe potuta finire diversamente. Non è mia intenzione recriminare sul risultato, nel calcio tutto questo non serve a una beata ceppa. Volevo semplicemente sottolineare come quella di campionato ha rappresentato una battuta d'arresto in quanto a risultato, non certo per il gioco espresso.
Ciò detto, l'Inter supera un'altra pietra miliare del suo cammino 2009-2010. Piaccia o no, Mourinho ha ancora una volta mostrato di dirigere una squadra costruita per combattere su più fronti (di questo si tratta, essendo condizione necessaria per avere successo in Champions). Va detto che, delle tre partite di fuoco del terribile aprile, questa era la più semplice, di gran lunga. Le altre due partite miliari saranno entrambe a San Siro, il 16 ed il 20 aprile: prima la Juve, dopo il Barcellona.
Si potrebbe opinare che la Juventus non sia in forma, o comunque non sia all'altezza dei Campioni d'Italia. Strunzate, per dirla in modo garbato. Non solo la Juventus è sempre la Juventus, ma arriverà a quell'incontro carica di così tante inflessioni psicologiche da sembrare il Barcellona. Per Del-Messi-Piero e compagni è una vera finale: dovranno dimostrare quale divario c'è o non c'è tra le storie contemporanee delle due società, e non si può fingere che negli ultimi quattro anni, fino all'edizione del processo odierno di Napoli, non sia successo nulla.
Ci saranno scintille, forse troppe, i nervi sono già tesi, tirati a mille questa volta non da Mourinho, il quale per sua fortuna ha imparato a tacere un po' di più, ma dal solito, imperturbabile Moggi. È come se costui ancora contasse nel mondo del calcio, è come se qualcuno dietro le quinte ancora ne senta l'alito del potere, e ne esegua i comandi come ipnotizzato. Mi auguro di sbagliare.
martedì 13 aprile 2010
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