Il derby di San Siro consegna in mondovisione l'immagine piu' eloquente della fine del ciclo dell'Inter.
Cloruro di calcio, e la sua edizione radiofonica Scusa Ameri (Radio Alma Bruxelles, 101.9FM), hanno testimoniato dal 2005 in poi i numerosi titoli conquistati dall'Inter di Zanetti, Julio Cesar, Maicon e Cambiasso, Cordoba e Samuel.
Gli stessi che nella giornata piu' decisiva della stagione non hanno saputo fare la differenza (con Samuel infortunato) come l'avrebbero fatta uno, due, cinque anni fa.
Questo dimostra come il derby di San Siro non debba essere considerato un episodio passeggero (lo dimostrera' la clamorosa sconfitta in casa con lo Schalke di li' a pochi giorni, nell'andata dei quarti di finale di Champions League). Mi chiedo se sia lecito supporre, se i giocatori chiave sono gli stessi da oltre un lustro, che una sorta di stanchezza psicologica sia definitivamente affiorata. Non la rimonta di campionato (quella appartiene a Leonardo, Pazzini, Ranocchia, Kahrja), non il triplete dello scorso anno (che appartiene a Milito ed Eto'o, Thiago Motta e Sneijder), ma il quinquiennio di vittorie consecutive ha di fatto saziato coloro i quali erano nell'Inter ben prima del primo scudetto.
Dal 2006 sappiamo come l'Inter, liberata dal giogo illecito ed antisportivo della cupola calcistica che faceva capo a poche persone, avesse iniziato a praticare un calcio muscolare, arrabbiato, nervoso e sbrigativo.
Non era affamata quell'Inter. Molto di piu'. Ricordo il modo di giocare dell'Inter di Mancini, che in campionato gridava vendetta contro tutti, si avventava su ogni pallone, difendendo l'area e la porta con i denti e mettendo in soggezione persino l'operato di qualche arbitro. Diciassette vittorie consecutive in campionato, quasi cento punti. Neanche il Barcellona di Guardiola, nonostante l'imbarazzante superiorita' tecnica nel proprio campionato, vi potra' arrivare.
E' durato il tempo necessario perche' le energie fisiche e nervose delle colonne portanti arrivassero a naturale esaurimento. Quando si vince tutto, ma proprio tutto, la necessita' di fare a pezzi l'avversario lascia il posto alla voglia di vincere, piu' nobile ma meno efficace, e questa lascia poi il posto alla sicurezza di aver vinto - prima ancora di entrare in campo. E' un trapianto di cuore, e di parabole simili e' ricco il mondo dello sport, e la storia di tutte le grandi squadre.
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mercoledì 6 aprile 2011
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